La rivolta di Hopfrog e altre storie
Cosa accadrebbe se, all’improvviso, tutti gli oggetti che possediamo e che usiamo quotidianamente prendessero vita e decidessero di ribellarsi a noi e di impossessarsi del mondo di cui siamo stati i padroni fino a quel momento?
Questa, in sostanza, è la trama di una delle due storie de La rivolta di Hopfrog e altre storie, della collana Hergè di Oblomov Edizioni. Se avete vissuto o vivete in Francia è probabile che il fumetto non vi risulti nuovo: la prima pubblicazione, difatti, risale al 2000, con la casa editrice Dargaud.
Entrambi gli episodi dell’opera creata da David B. e Christophe Blain hanno gli stessi protagonisti: il giornalista Hiram Lowatt e il taciturno e misterioso indiano Placido, suo fedele accompagnatore.
L’ambientazione è nell’America di fine ‘800: il continente è ancora diviso tra indiani e americani e, di conseguenza, anche le storie sono intrise di leggende e miti che appartengono alla cultura indigena.
Nella prima storia, che dà il titolo al volume, ci troviamo in Texas. Qui gli oggetti di uso comune, stanchi di essere solamente sfruttati dai propri padroni, danno vita a una rivolta, guidata da Hopfrog che, simbolicamente, umanizza gli oggetti coinvolti donandogli un nome ispirato a personaggi delle opere di Edgar Allan Poe. La storia viene sceneggiata da David B. e tradotta in disegni da Blain. La maestria e la vivezza coloristica di quest’ultimo richiamano il fauvismo. La combinazione tra colori molto pastosi e linee plastiche e sinuose si sposa perfettamente con la resa fantasy, a tratti un po’ grottesca. In molte tavole c’è un uso evocativo di colori come il blu, il rosso e il giallo.
Dopo aver letto il primo racconto, il lettore resterà certamente colpito nello sfogliare il secondo, “Gli orchi”, i cui disegni si differenziano fortemente dai precedenti. Nel secondo episodio della serie, colorato da Walter, i due protagonisti si trovano in Alaska, dove affronteranno un gruppo di pericolosissimi antropofagi. Il colore del primo racconto lascerà il posto a disegni più “graffianti”, con un uso più spregiudicato di sfumature, che rendono meglio la crudezza di alcune scene.
Il disegno diventa quasi una storia nella storia, un elemento di cui il lettore riesce a godere a prescindere dal racconto. I due autori passano sapientemente dall’ambientazione western a quella onirica, passando per il fantasy, riempiendo gli episodi di riferimenti letterari e mitologici e riuscendo a mantenere sempre viva l’attenzione del lettore, che compie un vero e proprio viaggio fra le pagine di questo piccolo capolavoro e che non può non desiderare un (purtroppo mai realizzato) seguito.
Giorgia Recchia
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